SANDRO PARMIGGIANI
Conversazione con Enrico Della Torre
S. P. Sei tra i protagonisti dell'incisione italiana, e sei uno di quelli che lo è in maniera autentica: hai cioè compreso che non si può dire la stessa cosa allo stesso modo in incisione e in pittura, le quali richiedono invece l'adozione di linguaggi e modalità di rappresentazioni diverse. Che cosa ti ha attirato all'inizio verso l'incisione, come e perché ti sei accostato a questa tecnica e perché vi sei rimasto fino ad oggi fedele?
E. D. T. Quando, dopo la maturità artistica, frequentai la scuola di pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, la materia di tecniche incisorie si poteva apprendere solo al terzo e quarto anno. L'aula di pittura la frequentavo più che altro per disegnare la modella, ma la pittura preferivo affrontarla tra un atelier che avevo già al mio paese d'origine, nel cremonese, e il piccolo alloggio che affittavo a Milano. Lavoravo a quei tempi, già al liceo, saltuariamente per realizzare un po' di quattrini, per una fabbrica di giocattoli in gomma, creando nuovi modelli. Subito, dai primi anni all'Accademia, ero attirato da un laboratorio misterioso situato in un angolo un po' oscuro in fondo al complesso architettonico di Brera. Non potevo frequentarlo ancora, ma lo spiavo, mi attirava. Un giorno mi azzardai ad entrarvi e vidi e sentii tutta la messa in scena di un atelier calcografico: l'antico torchio solenne, gli odori degli acidi e degli inchiostri, le carte intonse bagnate, le lastre incerate, gli attrezzi, le punte d'acciaio, le stampe alle pareti... insomma, un'attrazione unica che non mi stancavo d'ammirare. A casa volli subito provare con delle lastre che avevo comprato. Incisi a puntasecca volentieri, a lungo, in profondità, soprattutto ritratti, che provavo a stampare, complice un bidello, all'Accademia in orari fuori lezione. Era il 1952. Il buon Benvenuto Disertori, allora titolare della cattedra di tecniche incisorie, constatata la volontà di dedicarmi a questa arte, mi lasciò, già al secondo anno, frequentare l'aula dei miei desideri. Così potei, dopo aver distrutto tutte le puntasecche, che presentavano inevitabili acerbità, realizzare le prime incisioni all'acquaforte nel 1953.
Ho descritto l'attrazione al mezzo dell'incisione. Ma il motivo per cui mi poteva essere utile questo mezzo è principalmente il seguente. Premetto che in pittura, l'altra mia passione, sentivo la rivoluzione che veniva dal'ifinformale" rispetto all'anacronismo della cultura novecentesca ancora imperante all'Accademia. Per questo preferivo dipingere fuori dalla scuola, a volte anche direttamente in riva a un fiume lombardo. La mia ricerca negli anni tra il 1953 e il 1955 era improntata a una pittura corposa, gestuale, diretta. Trovavo che potevo cogliere poesia in un semplice filo d'erba e non vi era nulla di commovente invece nella teoria di una pittura monumentale che si voleva ancora a Brera. Già sentivo però che l'eccesso di informe, di convulso, non si addicevano alla mia indole meditativa. L'incisione è stata un mezzo rigoroso e mi ha aiutato a trovare una mia voce più scarna. Essere costretto a dire tutto su una piccola lastra con una punta che non ammette sbagli, ha contribuito a costruire notevolmente e a precisare il mio mondo di pittore. Incisione e pittura sono mezzi e linguaggi autonomi, ma che portano a una unica visione grazie al loro costruirsi, integrarsi, sovrapporsi. Una gara a me necessaria, ancora ora, a rincorrere la poesia.
S. P. Quando hai dovuto cimentarti con l'illustrazione di un testo - o, meglio, quando hai dovuto creare tue opere grafiche che lo accompagnassero — come ti sei mosso, quali passi hai compiuto? Quali sono stati gli avvicinamenti progressivi al testo del poeta o dello scrittore? Quando devi "illustrare" un testo, che cosa cerchi di coglierne e che cosa senti di dovere restituirei
E. D. T. I libri, quasi tutti di poesia, che ho accompagnato con mie incisioni, mi sono sempre stati chiesti da un editore. Raramente l'editore mi faceva scegliere l'autore o i testi; tuttavia, l'autore deve essermi congeniale, altrimenti non accetto di dedicargli i miei segni. Affrontare un testo per accompagnarlo o per decorarlo, mai per illustrarlo, è sempre fonte di preoccupazione, di difficoltà. Solitamente oltre alla lettura del testo cerco di sapere un po' tutto dell'autore, leggerlo, assorbirlo, calarmi dentro il suo mondo. Prendo degli appunti con dei disegni che mi sollecitano frasi, versi, parole che incontrano vagamente e casualmente il mio mondo. Quando ho tutto assimilato, con apprensione anche dolorosa, cerco di dimenticare, di lasciare che una musica delle parole lette rimanga in sottofondo ai miei desideri. A questo punto per intuizione trovo i materiali più idonei, esprimendomi, a seconda dei testi, più figurativamente o in maniera più astratta. Ad esempio, Pascoli tradotto da Sbarbaro (poesie latine di Pascoli) e Canti anonimi di Clemente Rebora mi sollecitavano a una espressione lirica, essenziale, astratta, mentre L'antica moneta, una raccolta delle prime poesie di Paolo Volponi, piene di natura e di animali, mi disponevano a visioni più figurative. Vi è da dire che anche il mio mondo oscilla tra i poli della realtà e quelli dell'astrazione, non per opportunismo, ma per necessità, per la complessità del mio sentire. Del resto, fatte le debite differenze, è stato così anche per Picasso, Matisse, Klee, Fontana, Melotti e altri. È stato più facile, anzi, mi ha fatto piacere, quando poeti come Guido Ballo per In altro nero e Maurizio Cucchi per Ragna hanno scritto guardando i gruppi delle incisioni che avevo messo insieme per loro e per l'editore. Ragna era il titolo di una mia incisione; è piaciuto molto a Cucchi e l'ha voluto anche come titolo della pubblicazione. L'ultimo libro, appena pubblicato da Federico Santini di Udine, per il grande poeta Biagio Marin è composto da sette poesie scelte da me e da sette incisioni alla maniera nera. Sono tra le ultime poesie di Marin, che verso la fine della vita, era diventato cieco, ma dettava versi di fulminee astrazioni piene di luce. Mi è venuto il desiderio di fare per la prima volta uncisione è stata un mezzo rigoroso e mi ha aiutato a trovare una mia voce più scarna. Essere costretto a dire tutto su una piccola lastra con una punta che non ammette sbagli, ha contribuito a costruire notevolmente e a precisare il mio mondo di pittore. Incisione e pittura sono mezzi e linguaggi autonomi, ma che portano a una unica visione grazie al loro costruirsi, integrarsi, sovrapporsi. Una gara a me necessaria, ancora ora, a rincorrere la poesia.
S. P. Quando hai dovuto cimentarti con l'illustrazione di un testo - o, meglio, quando hai dovuto creare tue opere grafiche che lo accompagnassero — come ti sei mosso, quali passi hai compiuto? Quali sono stati gli avvicinamenti progressivi al testo del poeta o dello scrittore? Quando devi "illustrare" un testo, che cosa cerchi di coglierne e che cosa senti di dovere restituirei
E. D. T. I libri, quasi tutti di poesia, che ho accompagnato con mie incisioni, mi sono sempre stati chiesti da un editore. Raramente l'editore mi faceva scegliere l'autore o i testi; tuttavia, l'autore deve essermi congeniale, altrimenti non accetto di dedicargli i miei segni. Affrontare un testo per accompagnarlo o per decorarlo, mai per illustrarlo, è sempre fonte di preoccupazione, di difficoltà. Solitamente oltre alla lettura del testo cerco di sapere un po' tutto dell'autore, leggerlo, assorbirlo, calarmi dentro il suo mondo. Prendo degli appunti con dei disegni che mi sollecitano frasi, versi, parole che incontrano vagamente e casualmente il mio mondo. Quando ho tutto assimilato, con apprensione anche dolorosa, cerco di dimenticare, di lasciare che una musica delle parole lette rimanga in sottofondo ai miei desideri. A questo punto per intuizione trovo i materiali più idonei, esprimendomi, a seconda dei testi, più figurativamente o in maniera più astratta. Ad esempio, Pascoli tradotto da Sbarbaro (poesie latine di Pascoli) e Canti anonimi di Clemente Rebora mi sollecitavano a una espressione lirica, essenziale, astratta, mentre L'antica moneta, una raccolta delle prime poesie di Paolo Volponi, piene di natura e di animali, mi disponevano a visioni più figurative. Vi è da dire che anche il mio mondo oscilla tra i poli della realtà e quelli dell'astrazione, non per opportunismo, ma per necessità, per la complessità del mio sentire. Del resto, fatte le debite differenze, è stato così anche per Picasso, Matisse, Klee, Fontana, Melotti e altri. È stato più facile, anzi, mi ha fatto piacere, quando poeti come Guido Ballo per In altro nero e Maurizio Cucchi per Ragna hanno scritto guardando i gruppi delle incisioni che avevo messo insieme per loro e per l'editore. Ragna era il titolo di una mia incisione; è piaciuto molto a Cucchi e l'ha voluto anche come titolo della pubblicazione. L'ultimo libro, appena pubblicato da Federico Santini di Udine, per il grande poeta Biagio Marin è composto da sette poesie scelte da me e da sette incisioni alla maniera nera. Sono tra le ultime poesie di Marin, che verso la fine della vita, era diventato cieco, ma dettava versi di fulminee astrazioni piene di luce. Mi è venuto il desiderio di fare per la prima volta uncisione è stata un mezzo rigoroso e mi ha aiutato a trovare una mia voce più scarna. Essere costretto a dire tutto su una piccola lastra con una punta che non ammette sbagli, ha contribuito a costruire notevolmente e a precisare il mio mondo di pittore. Incisione e pittura sono mezzi e linguaggi autonomi, ma che portano a una unica visione grazie al loro costruirsi, integrarsi, sovrapporsi. Una gara a me necessaria, ancora ora, a rincorrere la poesia.
S. P. Quando hai dovuto cimentarti con l'illustrazione di un testo - o, meglio, quando hai dovuto creare tue opere grafiche che lo accompagnassero — come ti sei mosso, quali passi hai compiuto? Quali sono stati gli avvicinamenti progressivi al testo del poeta o dello scrittore? Quando devi "illustrare" un testo, che cosa cerchi di coglierne e che cosa senti di dovere restituirei
E. D. T. I libri, quasi tutti di poesia, che ho accompagnato con mie incisioni, mi sono sempre stati chiesti da un editore. Raramente l'editore mi faceva scegliere l'autore o i testi; tuttavia, l'autore deve essermi congeniale, altrimenti non accetto di dedicargli i miei segni. Affrontare un testo per accompagnarlo o per decorarlo, mai per illustrarlo, è sempre fonte di preoccupazione, di difficoltà. Solitamente oltre alla lettura del testo cerco di sapere un po' tutto dell'autore, leggerlo, assorbirlo, calarmi dentro il suo mondo. Prendo degli appunti con dei disegni che mi sollecitano frasi, versi, parole che incontrano vagamente e casualmente il mio mondo. Quando ho tutto assimilato, con apprensione anche dolorosa, cerco di dimenticare, di lasciare che una musica delle parole lette rimanga in sottofondo ai miei desideri. A questo punto per intuizione trovo i materiali più idonei, esprimendomi, a seconda dei testi, più figurativamente o in maniera più astratta. Ad esempio, Pascoli tradotto da Sbarbaro (poesie latine di Pascoli) e Canti anonimi di Clemente Rebora mi sollecitavano a una espressione lirica, essenziale, astratta, mentre L'antica moneta, una raccolta delle prime poesie di Paolo Volponi, piene di natura e di animali, mi disponevano a visioni più figurative. Vi è da dire che anche il mio mondo oscilla tra i poli della realtà e quelli dell'astrazione, non per opportunismo, ma per necessità, per la complessità del mio sentire. Del resto, fatte le debite differenze, è stato così anche per Picasso, Matisse, Klee, Fontana, Melotti e altri. È stato più facile, anzi, mi ha fatto piacere, quando poeti come Guido Ballo per In altro nero e Maurizio Cucchi per Ragna hanno scritto guardando i gruppi delle incisioni che avevo messo insieme per loro e per l'editore. Ragna era il titolo di una mia incisione; è piaciuto molto a Cucchi e l'ha voluto anche come titolo della pubblicazione. L'ultimo libro, appena pubblicato da Federico Santini di Udine, per il grande poeta Biagio Marin è composto da sette poesie scelte da me e da sette incisioni alla maniera nera. Sono tra le ultime poesie di Marin, che verso la fine della vita, era diventato cieco, ma dettava versi di fulminee astrazioni piene di luce. Mi è venuto il desiderio di fare per la prima volta un libro con incisioni alla maniera nera. Avvicinandomi cosi a Marin, al nero della sua cecità, potevo col brunitoio spezzare il nero con tratti e ritmi di luce.
S. P. Tra i tanti libri e cartelle che hai fatto, quali ti sono più cari? Parliamo anche, seppure brevemente, del tuo sodalizio con poeti e scrittori con i quali hai avuto frequentazioni non episodiche - penso, in particolare, a Vittorio Sereni...
E. D. T. Ritengo che i libri a me più cari siano quelli più riusciti, come ad esempio Le tempora del 78 con un'acquatinta che non riuscirei più a fare tanta è la magia delle craquelures che, in parte casualmente, si sono formate sulla lastra. Altrettanto caro mi è Oggi la luce. Lamberto Vitali, cosi esigente e rigoroso, per il suo libro di poesie mi chiese di affiancargli un'incisione, dimostrandomi in questo modo tutta la sua stima. A lui devo molto perché mi ha fatto conoscere ai suoi amici. Gli Inni alla notte con mie litografie sono nati da un consiglio di Dante Isella, il quale aveva visto nel mio studio proprio quelle tre litografie, che andarono poi spose al testo di Novalis. Oltre ai libri citati nella precedente risposta alla tua domanda, mi piace ricordare Per infinite pianure con poesie di Roberto Sanesi, composto e stampato egregiamente da Giorgio Upiglio. Mi piace anche ricordare l'amico Vanni Scheiwiller: per un suo bel "librino" con poesia di Lucrezio ho composto quattro incisioni stampate ognuna con un diverso colore. L'edizione porta il titolo Quale colore.
Nel 1978 avevo chiesto a Vittorio Sereni una poesia per un'edizione con tre acquetinte. Egli mi diede gentilmente Nell'estate padana, una poesia di straordinaria intensità. Sereni era un uomo che emanava luce, e sentire che a Milano esisteva una persona di così alta levatura intellettuale e spirituale dava fiducia; sul mio lavoro egli ha scritto un testo bellissimo per un volumetto delle edizioni All'insegna del Pesce d'Oro, e anche per questo gli sono molto devoto. È stata bella, impeccabilmente documentata in catalogo, la mostra ordinata da Dante Isella e Barbara Colli, prima a Luino e recentemente a Milano, Amici pittori. I libri d'arte di Vittorio Sereni, che riflette la frequentazione proficua tra artisti e poeti avvenuta in anni ormai passati. Pure Isella è un amico delle mie incisioni sulle quali ha scritto una bellissima pagina nel 1985, e per questo gli sono sempre grato. Con ammirazione ricordo Paolo Franci, che ancora ora a ottantotto anni continua a tessere incontri tra amici, artisti e poeti e a pubblicare strenne uniche e preziose, a volte con incisioni originali, anche mie, complice il bravo tipografo comune amico Giorgio Lucini. Tra le cartelle eseguite ritengo che la più bella e raffinata sia Blu, con sette bulini con barbe, per le Edizioni di Franco Masoero di Torino, che è arricchita da una illuminante prefazione di Gillo Dorfles. [...]